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Santa Perpetua e San Remigio: antiche chiese gemelle alle porte della Rezia

 La documentazione diretta, per entrambe le chiese, risale al XII secolo e si sviluppa, per quanto riguarda l’attività del relativo monastero, in più di mille pergamene, gelosamente custodite dal XVI secolo dai deputati del santuario e oggi conservate nell’archivio comunale di Tirano. Si tratta di un patrimonio considerevole ed esclusivo che getta luce sui secoli medievali in Valtellina e attesta l'operato in campo religioso-caritativo e socio-economico della piccola comunità monastica insediatasi sul dosso di Santa Perpetua e sull’altopiano di San Romerio verso l’XI secolo. Ben più antica, rispetto ai documenti legati alla presenza di conversi e converse nelle case adiacenti alle chiese, pare comunque essere la fondazione dei luoghi di culto, che risale all’Alto Medioevo, probabilmente tra i secoli VII e VIII. Non mancano naturalmente gli indizi in tal senso da ricercare nella peculiarità dei luoghi prescelti, nel modo stesso di insistere delle chiese, al pari di vedette, sul ciglio di strapiombi paurosi, ma altamente panoramici, nel carattere preromanico dell’architettura di stampo rurale e nella dedicazione, considerata l’importanza dei loca sanctorum quale chiaro indicatore temporale della fondazione e quale spia di presenza nella zona di popoli, monaci, milizie o altro.

Santa Perpetua sorge in un ambiente naturale di grande suggestione, un piccolo balcone plasmato dall’escavazione glaciale nel fianco del monte, proteso nella valle dell’Adda all’imbocco della Valle di Poschiavo, sul filo di alti lastroni rocciosi sorgenti dalla brughiera e dal letto dei vigneti degradanti fino al Poschiavino che scorre ai piedi della montagna. Dal poggio, si gode una veduta incomparabile su Tirano che si stende ai suoi piedi: in primo piano l’armonia rinascimentale del santuario della Madonna con la sua piazza e le case della vecchia contrada della Rasica, poi il perfetto viale rettilineo, che taglia di mezzo la cittadina, con a capo l’antico borgo murato, dominato dal campanile romanico della parrocchiale di San Martino. Dall’alto, il vecchio centro appare accerchiato dal compatto agglomerato urbano che ha sottratto, anno dopo anno, quasi tutto il verde del fondovalle, immerso nel cupo brusio del traffico risalente a ondate a rompere la quiete di Santa Perpetua. Non si fatica a credere che, fin dai tempi antichi e prefeudali, accanto alla chiesa o sul medesimo sito potesse sussistere una costruzione di carattere militare, venuta in possesso in epoca medievale dei Capitanei di Stazzona, signori della pieve di Villa. Si trattava molto probabilmente di una torre di vedetta o di un piccolo castello di difesa, che essi avrebbero poi ceduto ai monaci nell’XI secolo.

Anche la chiesa di San Remigio si trova sull’orlo di un alto strapiombo in posizione strategica, affacciato sul lago di Poschiavo, al margine di un alpeggio che si stende nel terrazzo intagliato nella montagna a quasi 1800 metri di altitudine. Il panorama qui è superbo e permette allo sguardo di spaziare, in ampio giro d’orizzonte, sulle vette e sui nevai sovrastanti la Valle di Poschiavo e sulla cresta delle Orobie che, inconfondibile, si profila al di là del solco dell’Adda, non senza zumate sul lago, sul fondovalle e sul dosso di Santa Perpetua.  Nessun indizio induce a ipotizzare la presenza un tempo su questo altopiano di edifici a carattere militare. Oggi, come sicuramente nel passato, l’ambiente - naturale e antropico - non ispira che sensi di pace con l’esplicito invito alla contemplazione e alla meditazione o, più semplicemente, alla fruizione del paesaggio, che, effettivamente, è di una dolcezza rasserenante a diretto contatto con il cielo nell’aria frizzante e rarefatta dell’altitudine.  L’architettura delle due chiese ha in comune l’essenzialità delle strutture, non priva dell’intrinseca bellezza delle cose semplici, con un carattere di fondo che prelude al romanico. Santa Perpetua vanta, rispetto a San Remigio, qualche pretesa di stile nel campanile e nella facciata con dettagli prossimi al romanico, mentre la chiesa gemella presenta gli ibridi elementi di un’architettura rurale che l’accomuna alle costruzioni civili dell’alpeggio.  Santa Perpetua giunge integra, pur con l’aggiunta della sacrestia del XVII secolo e dell’ossario del XVIII secolo, senza manomissioni strutturali di rilievo, San Remigio invece ha subito il rifacimento del campanile nel XVI secolo e del presbiterio nel corso del Seicento.  In entrambe le chiese sono emerse, in epoca recente, tracce dell’originale dipintura: a San Romerio solo un lacerto con tre volti sulla parete di sinistra dai contorni pesanti e insistiti, tipici della pittura  preromanica, tuttora in attesa della definitiva pulitura che potrebbe portare alla scoperta di altre parti; a Santa Perpetua sono tornate alla luce, sulla superficie dell’abside, diverse figure di grande interesse artistico e documentario. Si vuole che il culto di santa Perpetua, martire di Cartagine, sia stato introdotto in valle dai Bizantini al tempo della guerra gotica o dai missionari inviati a combattere l’arianesimo da papa Gregorio Magno, provenienti dalle terre nordafricane di Bisanzio, abbandonate dall’impero per il sopraggiungere degli Arabi. Per la chiesa di San Remigio, dedicata anche a san Pastore, l’origine franca pare sicura. Entrambi i santi titolari risultano infatti in grande venerazione presso i Franchi, signori nell’Alto Medioevo della Rezia con un loro praeses a Coira in rappresentanza del sovrano.      Ciò che totalmente in comune hanno le due chiese è la storia a partire dal citato 1237, anno della fusione in un unico capitolo dei due conventi originali, sorti entrambi all’interno del fenomeno del monachesimo di stampo rurale che interessò molte regioni d’Italia e d’Europa nei secoli attorno al Mille e subito dopo. Suscita ammirazione la capacità dei conversi nel promuovere il dissodamento e la bonifica dei terreni improduttivi sui pendii della montagna e sul fondovalle invaso dalla brughiera e dal pietrame del Poschiavino e dell’Adda, che essi con l’ausilio di manodopera locale seppero trasformare in coltivi: le terre novali o novalia. Diversi sono i documenti che certificano questo duro lavoro e danno gratificazione ai conversi, riconoscendo il loro benemerito operato, tra cui l’attestazione del vescovo di Como Guglielmo del 1209, che li esenta per premio dalle decime sulle terre novali da essi redente da dieci anni e per quelle che dissoderanno in futuro.

Gianluigi Garbellini
2005
pp.144
prezzo: 15,00 €
spedizione: 5,00 €

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