Valtellina e Valchiavenna, o quella che è stata anche chiamata la Rezia Italiana, sono collocate a cavallo di aree culturali di diversa identità, come spesso capita nelle valli alpine. Questo è ben visibile nella varietà delle tipologie dell’architettura rurale tradizionale, un patrimonio enorme che è stato ampiamente documentato negli anni ’80 del Novecento. Una Pompei alpina frutto di un millennio di vita tradizionale delle comunità dei contadini pastori, che si è poi inesorabilmente depauperata a causa di demolizioni e trasformazioni, ma che ancora presenta aree di notevole interesse. L’Europa è attraversata da una linea teorica immaginaria che attraversa diagonalmente il continente da nord-ovest e sud-est dall’Irlanda alla Grecia. Questa linea interessa anche le nostre valli. A nord di questo confine prevale l’architettura tradizionale in legno nelle sue varie forme (con legno intelaiato, fachwerk o a travi incastrate blockbau) a sud quella in pietra, spesso di impianto medievale, erede della cultura costruttiva dei magistri comacini e che, frequentemente corrisponde ad una morfologia insediativa a nucleo compatto.
Dimore tradizionali in legno prevalgono in alcune aree della Val S.Giacomo in Valchiavenna, ove è chiaro l’influsso della cultura walser, in particolare in Val Febbraro, dove gli edifici a blockbau sono chiamati carden, così come miste alla pietra in alcune località della Val Bregaglia. Parimenti la casa in legno prevale a Livigno e Trepalle, in Valfurva, in Val di Rezzalo e nelle altre valli trentine del Parco dello Stelvio (Val di Rabbi, Val di Pejo e Val Martello).
La tipologia in legno, in particolare quella a travi incastrate, ha peraltro origini antichissime ed è documentata in scavi archeologici nel Canton Grigioni fino dall’età del Bronzo (Savognin-Padnal 1.500 a.C e strutture originarie delle fonti terme di Sankt Moritz) e a volte è utilizzata preferibilmente per edifici non residenziali (stalle e fienili). A questo proposito è importante rilevare come, a partire dall’età moderna e, in particolare dalla fine del XVI secolo e dai primi anni del XVII, il villaggio tradizionale e la dimora alpina suubiscano una progressiva ed evidente trasformazione. Infatti, con il diffondersi della canna fumaria, che sostituisce l’antica camera a fumo, migliorano le condizioni abitative e si tende a realizzare edifici e interi quartieri separati per ospitare il bestiame ed il fieno o invece dimore unitarie, ove però la differente destinazione dei locali è organizzata in modo molto razionale.
Lo studio di Giorgio Spini documenta, in queste pagine, un caso molto particolare di quest’ultimo fenomeno in un’area ove, teoricamente, dovrebbe prevalere la pietra come materiale costruttivo, la Val Tartano, sulla montagna orobica valtellinese. Qui ritroviamo invece l’ampia diffusione di edifici adibiti a stalla e fienile, ma anche a dimora temporanea di maggengo, con struttura prevalente in legno con tipologie costruttive diverse, a block bau o nell’originale sistema a “canne d’organo”. Quasi tutti questi edifici sono millesimati e le date evidenziano la nascita e lo sviluppo di queste tipologie in particolare a partire dal XVII secolo. La passione con cui Spini ha documentato questi edifici ha permesso di evidenziarne le caratteristiche costruttive e la diffusione. Purtroppo, l’attuale mancanza di tutela ha fatto sì che questo patrimonio si stia rapidamente riducendo. Speriamo che questa pubblicazione, una guida alla visita per appassionati, ma anche uno strumento utile per la conoscenza e il restauro di questi manufatti, serva a stimolare gli enti competenti ad una maggiore attenzione e, soprattutto, faccia crescere la coscienza collettiva della popolazione e dei proprietari sul valore e sulla insostituibilità di queste testimonianze architettoniche. Oggi è possibile recuperare questi manufatti con metodi tradizionali, riutilizzando molte delle parti lignee originarie, anche se ammalorate. La conservazione di questo patrimonio può essere un importante volano per il turismo e per l’identità culturale di questo territorio.